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L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Aggiungo io: sul lavoro di famiglia e in famiglia. A dimostrarlo sono i numeri.

 

Ad oggi, il mondo della piccola media impresa italiana è caratterizzato al 65% da imprese a conduzione familiare1.

La famiglia è quindi alla base non solo del tessuto sociale italiano, ma anche di quello imprenditoriale. E questo, va detto, ha i suoi lati positivi.

Un’impresa a conduzione familiare è un’azienda con una forte coesione interna. Valori aziendali e valori familiari, affetti e interessi economici tendono a fondersi gli uni con gli altri, e questo porta a una solidità e a una responsabilità che lega profondamente le persone alla mission aziendale.

Si vuole il bene per la propria famiglia e, quindi, per la propria impresa; e proprio come si desidera creare la propria linea di successione familiare attraverso figli e nipoti, c’è voglia da parte dei leader aziendali di tramandare la propria impresa alle generazioni future.

Peccato che, proprio su questo punto, all’intenzione non corrisponda spesso una azione di eguale misura.

 

Successione e passaggio generazionale: miraggio o realtà?

Non è che il primo degli aspetti negativi del family business.

Oltre ad essere terreno di scontri e di tensioni, queste imprese sono spesso caratterizzate dall’assenza di separazione tra proprietà e management, da una disastrosa assegnazione dei ruoli e delle responsabilità e, in molti casi, dall’assenza di obiettivi di medio-lungo termine e di piani di azione per raggiungerli.

Come capire quando è necessario il passaggio di testimone alla generazione successiva?

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